Farmaci Anti-Depressivi: che bluff!
L'imperatore è nudo: parola di Irving Kirsch, professore al Department of Psychology dell'Università di Hull, in Gran Bretagna, e docente emerito dell'Università del Connecticut.
Che ha pubblicato diversi studi per dire che quei farmaci che dovrebbero aiutare a sconfiggere il male di vivere, al contrario, non fanno nulla.
Per dimostrarlo, Kirsch si è avvalso del Freedom of Information Act, la legge statunitense che tutela il diritto di accesso alle informazioni di interesse pubblico.
E ha costretto l'Fda a tirare fuori dai cassetti ciò che, altrimenti, non sarebbe mai diventato di dominio pubblico, ossia i dati in base ai quali erano stati approvati sei tra gli antidepressivi più venduti, e cioè citalopram (elopram e altri), fluoxetina (prozac e altri), nefazodone (reseril, ritirato per danni epatici), paroxetina (seroxat e altri), sertralina (zoloft e altri), venlafaxina (efexor e altri).
Agli studi di Kirch ha dato spazio, negli anni, una delle pochissime riviste italiane non finanziate da aziende, Psicoterapia e scienze umane.
Paolo Migone, che ne è il condirettore, in un articolo dedicato alla vicenda degli antidepressivi scrive, tra l'altro:"I risultati che hanno messo in evidenza la straordinaria importanza dell'effetto placebo non devono essere ignorati, perché fanno riflettere sulla vera natura della psichiatria. In fondo, si può dire che la psicoterapia sia la disciplina che ha cercato di studiare, scomporre e utilizzare al meglio l'onnipresente effetto placebo".
E aggiunge: tutti lo sanno, ma tutti continuano a sostenere le pillole della felicità.

Per questo ha voluto intitolare un suo articolo I farmaci nuovi dell'imperatore: la disintegrazione del mito degli antidepressivi.
La ricerca si basa sui dati ottenuti sulle 160 mila donne partecipanti alla Women's Health Initiative, così come quella che dimostra come gli antidepressivi nelle donne in menopausa aumentino il rischio di ictus e morte (dati pubblicati sugli Archives of Internal Medicine).
Un colpo fatale, che arriva dopo anni di polemiche su quanto l'uso intenso di questi farmaci aumenti il rischio di suicidio.

Le informazioni più rilevanti sono state tenute nascoste per decenni, anche se tutti gli specialisti erano a conoscenza di quello che è stato in seguito pubblicamente e senza vergogna definito "il piccolo sporco segreto".
Oggi che il segreto è stato svelato, la criticità vera riguarda i meccanismi di approvazione dei farmaci e, soprattutto, la possibilità che ancora oggi hanno le aziende di tenere nascosti i dati non favorevoli. I governi e le autorità devono da una parte obbligare le aziende a tirare fuori tutti i risultati, positivi e negativi, e dall'altra condurre propri studi, indipendenti, per verificare quanto affermato ma, soprattutto, per cercare altre cure.
Le agenzie di controllo non dovrebbero in alcun modo essere finanziate dalle aziende su cui devono esprimersi.
Tuttavia non bisogna illudersi, i consumi sono ancora in aumento, e molti medici li prescrivono subito, come primo approccio a depressioni anche lievi, mentre nella stragrande maggioranza dei casi dovrebbero essere considerati come l'ultima spiaggia, e usati solo dopo che tutte le altre cure hanno fallito.
Ma perché gli anti-depressivi sono stati tanto amati, dai medici in primo luogo?
"Negli ultimi vent'anni ci hanno raccontato che tutto era dovuto alla serotonina.
Ma i dati genetici e di laboratorio dimostrano che non è così. Così come lo dimostra il fatto che esistono antidepressivi che aumentano la serotonina (come la fluoxetina), altri che la diminuiscono (come la tianepina) e altri che non hanno alcun influenza su di essa, e il loro effetto è identico. Perché la serotonina non c'entra: ciò che funziona èl'effetto placebo".
Sappiamo che la maggior parte dei depressi trattati con i farmaci è destinato prima o poi a ricadere, ma la psicoterapia dimezza tale rischio. Inoltre, anche se i suoi costi iniziali possono essere superiori a quelli di un protocollo farmacologico, molti dati dimostrano che negli anni è costo-efficace e più economica rispetto agli antidepressivi.
Ad essa poi si può aggiungere la lettura di alcuni libri scritti da specialisti. In commercio se ne trovano diversi, incentrati su aspetti differenti quali il perseguimento di attività gradite, il rafforzamento delle relazioni sociali, la percezione di sé e così via, che anch'io consiglio sovente ai miei pazienti; riconosco che il ricorso ai libri potrebbe sembrare una soluzione semplicistica e inadeguata, ma ci sono ormai diversi studi che dimostrano che alcuni testi, da soli o in aggiunta alla psicoterapia, hanno un'efficacia ancora misurabile dopo tre anni, soprattutto quando la depressione non è troppo grave.
Molti studi lo hanno rilevato, mentre altri hanno messo a confronto l'efficacia di vari tipi di esercizi con quella delle diverse psicoterapie e dei farmaci, e altri ancora hanno provato a sommare l'effetto degli uni e degli altri. Il risultato, così come emerso in alcune rassegne di studi, è sempre lo stesso: lo sport aiuta a controllare le depressioni lievi, e la sua efficacia è paragonabile a quella delle terapie psicologiche o farmacologiche, soprattutto sul lungo periodo. Da queste ricerche, inoltre, sono emersi risultati sorprendenti. Per prima cosa le ricerche hanno rilevato che l'esercizio fisico ancora funziona meglio sulle depressione medio-gravi che su quelle più lievi.
Sul perché lo sport faccia così bene, per ora ci sono solo teorie: probabilmente in gran parte è dovuto al rilascio di endorfine.
Comunque, anche se tutto causato dall'effetto placebo, per convincersi di quanto lo sport sia positivo basta confrontare i suoi effetti collaterali con quelli dei farmaci. Con questi ultimi il depresso va incontro a disfunzioni sessuali, nausea, vomito, insonnia, convulsioni, diarrea, cefalea, rischio di pensieri suicidi e sonnolenza.
Con lo sport si ha la possibilità di mettere sotto controllo il proprio colesterolo, di perdere il peso in eccesso, di dormire meglio, di avere un miglioramento della libido, del tono muscolare, della funzionalità cardiaca e vascolare e, in definitiva, di vedere la propria aspettativa di vita allungarsi.